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Gli SWATT Club e le due grandi opportunità per la rinascita del ciclismo italiano

  • Immagine del redattore: Gabriele Sirtori
    Gabriele Sirtori
  • 3 lug
  • Tempo di lettura: 3 min

La grande fortuna di Carlo Beretta - fondatore e presidente dello SWATT Club, la società dell'attuale campione italiano su strada - non è stata l'originale linea di abbigliamento, né la comunicazione combattiva e agonistica, né la forte attenzione allo sviluppo di una community.

Tanti gruppi nati sui social negli ultimi anni condividono questi elementi.

No: c’è una cosa che distingue davvero lo SWATT Club da tutti gli altri.


Sono incredibilmente kompetenti.

E con la K mi riferisco ovviamente all’omonimo podcast di Gaffuri e del Bandito.


La loro straordinarietà sta proprio in questo: leggendo, informandosi, facendo i “secchioni” con l’obiettivo – presuntuoso – di essere amatori che vanno più forte dei professionisti, alla fine ci sono riusciti.


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La crisi del ciclismo italiano non è rappresentata dalla maglia tricolore che non si vedrà alle gare che contano, né dal disinteresse dei nostri assi (esclusi Milan e Covi) nel giocarsi il titolo nazionale, come se non avesse più valore.

La crisi vera è un’altra.


È assurdo che un gruppo di appassionati con zero budget riesca ad accumulare abbastanza competenze e conoscenze da superare tante altre squadre più organizzate e strutturate – più “istituzionali”.


La crisi del ciclismo italiano è una crisi di competenze.


1. Competenza tecnica e scientifica

La prima è una competenza tecnica scientifica.

Qui non parlo delle squadre professionistiche, dei bravi meccanici e degli ottimi tecnici e direttori sportivi che operano nel World Tour.

Parlo delle categorie giovanili: allievi, juniores, under 23.

Parlo delle tante squadre che si affidano a volontari non retribuiti per allenare e far correre i ragazzi.

Sono squadre dalla struttura agile, senza preparatori, nutrizionisti, biomeccanici adeguatamente formati per far fare il salto di qualità ai giovani e metterli in condizione di diventare i prossimi Remco, Ayuso, Del Toro – che alla loro età già calcavano palcoscenici internazionali.

Sono gli Juniores infatti oggi l'anticamera del professionismo. Ma chi dovrebbe insegnargli a correre in molti casi non è aggiornato su cosa significhi essere un professionista nel 2025.


Questo sottobosco è lasciato totalmente allo sbando. Alcune squadre sono forti e organizzate - e ottengono risultati. Tanti altri corridori sono destinati a essere talenti mancati solo perché capitati in una squadra "sbagliata".


Ci dovrebbero essere percorsi di ricerca e formazione, sponsorizzati dalla federazione, solidi e all’avanguardia, con ricircolo di tecnici tra le categorie professionistiche e quelle giovanili. Questo funziona nel basket, nella pallavolo, nel tennis. Applichiamolo anche al ciclismo.




2. Competenza organizzativa e comunicativa

La seconda è una competenza organizzativa comunicativa.


Va bene che non tutti possono avere il body bianco come lo SWATT, ma il modello dello sponsor sulla maglia per raccogliere finanziamenti è vecchio, defunto, e va assolutamente rivisto.


Il ciclismo è uno sport basato sulla pubblicità. Eppure i grandi gruppi industriali italiani non investono nelle squadre.

Perché le aziende che mettono centinaia di migliaia di euro nel Giro-E poi non versano nulla a chi corre le gare vere?


Risposta: oggi molte squadre hanno un’immagine così vecchia e trista che nessuno vuole essere associato a loro.


La federazione dovrebbe aiutare le squadre a trovare percorsi di finanziamento sostenibili e agevolare l’ingresso di sponsor ricchi, sia a livello pro, sia under 23 e giovanile. Solo con i soldi in mano si può uscire dal mondo del volontariato e far fare un salto di qualità alle nostre squadre giovanili.


Questo significa insegnare alle squadre a comunicare meglio, a creare un brand e costruire una community intorno.

In altre parole: a essere attrattive per investimenti pubblicitari, la vera benzina di questo sport.


In sintesi: scienza e comunicazione. Le due grandi opportunità che il ciclismo italiano deve cogliere per diventare di nuovo grande.


La federazione ha avuto davanti, sul traguardo di Gorizia, il modello vincente.

La traccia da seguire è chiara.

Ora è tempo di pedalare.



 
 
 

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