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  • Immagine del redattoreGabriele Sirtori

NAUFRAGHI IN UN OCEANO DI PUBBLICITA’

Nel secondo semestre del 2020, in Bocconi, seguo il corso di Market Research. L’esame prevede di condurre una ricerca sul campo. Nel farlo, provo a rispondere a questa domanda: perchè, come e quando fare programmatic advertising ai ragazzi nati dopo il 1995?





Programmatic advertising: sconosciuto e odiato

Sconosciuto ai più, il programmatic advertising è la forma di pubblicità più comune sul web.


Pensiamo ai fastidiosissimi banner e pop up che appaiono mentre navighiamo. Il 90% delle volte sono spazi pubblicitari venduti tramite il sistema di attribuzione programmatic. Spiegato in parole semplici: nel giro di pochi centesimi di secondo da quando apriamo una pagina web ,un’asta automatica decide quale inserzionista è il miglior offerente e il più coerente con i nostri interessi e ci mostra il suo annuncio.


Fin qui, bellissimo. C’è però un problema: la pubblicità sui siti web è considerata poco affidabile dagli under 25 e pure poco informativa. O almeno questo è quanto è emerso dall’analisi di posizionamento condotta dal mio team. [oltre a me: Claudio Villone e Beatrice Colombo (seguiteli su Linkedin!)].


Guardate il grafico qui sotto: come vedete la pubblicità programmatic sul web si posiziona praticamente in corrispondenza del vettore “rischio truffa”.


Quindi, la grande domanda: PERCHÉ, QUANDO E COME FARE PUBBLICITÀ PROGRAMMATIC?



Pubblicità online: alleati preziosi per ogni occasione

Il primo step è stato cercare di capire come le diverse pubblicità online si posizionassero nella mente dell’internauta Under25 non solo in termini generali, ma in ogni fase del Funnel di marketing.


Abbiamo sottoposto un questionario a più di 600 studenti. Siamo riusciti a ricavare tanti dati. Fra questi la mappa di posizionamento vista sopra.


Affidabilità vs grado di informazione veicolata. Questi sembrano essere le due variabili che orientano l’utente quando deve posizionare nella sua testa le diverse forme di pubblicità.


Quale pubblicità, quando.

Ciò che abbiamo visto ci ha decisamente stupiti, ed è riassunto nei grafico che vedete qui sotto. Abbiamo scoperto che:


1) Instagram è favoloso per far conoscere il proprio prodotto a più persone possibili! La pubblicità lì è facile da ricordare ed è molto coerente con gli interessi delle persone, indice del fatto che l’algoritmo di attribuzione degli spazi pubblicitari punta molto su questo.


2) In fase di consideration invece la pubblicità sui motori di ricerca non ha paragoni. È informativa e naturalmente coerente con l’interesse di ricerca di quel momento.


3) In fase di acquisto? Stupirà ma è Youtube, insieme alla pubblicità sui motori di ricerca, a essere considerata più affidabile come ultimo passaggio prima di un acquisto.






Quindi, quando fare programmatic?

Apparentemente la fase migliore è quella della consideration. L’utente ha già riconosciuto di aver bisogno di un prodotto ed è più o meno attivamente alla ricerca di un modello da acquistare. In quella fase qualsiasi tipo di stimolo potrebbe apparirgli interessante.


Un primo suggerimento è: in questa fase si dovrebbe fare programmatic insistendo sulla sua funzione di stimolo per la consideration. Quindi pubblicizzare sconti, offerte speciali, oppure una caratteristica differenziale del prodotto.


Ma i GEN Z sono tutti in uguali di fronte alla pubblicità?

La risposta (sfortunatamente) è no. Questo significa che è molto importante variare il copy e prevederne diversi per ciascuna esigenza.


Le differenze nascono già dall’opinione che hanno della pubblicità.


Da una prima analisi qualitativa era emerso un duplice rapporto : da una parte alcuni apprezzano la personalizzazione estrema e la possibilità di scoprire nuovi prodotti, dall’altra un cluster non indifferente la ritiene ingannevole e fastidiosa, soprattutto perchè li porta ad acquistare prodotti che non vogliono veramente acquistare.


Ad un livello di analisi ulteriore abbiamo visto che la pubblicità fortemente personalizzata non infastidisce. La percezione di angoscia per essere “controllati” nasce solo quando l’advertising è mal targetizzato.


Una prima conclusione: diversi profili, pubblicità diverse

Abbiamo quindi provato a cercare di profilare meglio la nostra platea di under-25.

Abbiamo scoperto che una differenza fondamentale è fra uomini e donne.


Per le ragazze è preferibile una pubblicità più esplicativa, maggiormente informativa: l’occhio va alla ricerca del dettaglio. Per la controparte maschile invece è l’impatto quello che conta. Da una parte quindi preferiremo un copy più raffinato e informativo, dall’altra un uso più forte dei colori e di frasi memorabili.

Più trasversalmente poi abbiamo trovato 5 profili in base alle risposte e alle preferenze accordate a diverse forme di advertising. Per essere molto sintetici le differenze variano in base all’esigenza informativa: alcuni, naturalmente più curiosi, amano scoprire nuovi brand e nuovi prodotti, altri invece sono più propensi a cliccare sulle pubblicità solo se questa dà loro informazioni importanti sul prodotto che stanno cercando, altri invece – distratti – hanno bisogno di essere bombardati di annunci tutti uguali prima di notarli.


È naturale quindi concludere che non esiste una pubblicità pret-a-porter, ma è indispensabile adeguare la comunicazione a ogni singolo cluster di utenti.


Ma come riconoscerli sin da subito?





Non una risposta, ma un processo

La risposta è: non esiste una risposta. O meglio: se si cerca un insieme di elementi che rendano subito evidente l’appartenenza di una persona ad un cluster prima di lanciare la campagna, allora non esiste nulla di tutto ciò.


La soluzione però c’è, anche se meno semplice da ottenere. Si tratta di instaurare un processo (come quello in figura sopra).


Per ogni prodotto si lanciano diverse forme di advertising, ciascuna pensata per i diversi cluster. A questo punto si cerca di capire non tanto quale vada meglio, ma piuttosto quali tipi di persone rispondono positivamente a quello stimolo.

In un secondo round si propongono le pubblicità precedenti, ma questa volta targetizzate in maniera più ristretta.


Non si tratta quindi di trovare la pubblicità meglio performante per tutti, ma l'advertising più interessante per ciascuno.

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